Percorso cross country

Quando scarichiamo le bici nel parcheggio accanto al Municipio, la lancetta del campanile segna le cinque in punto. Olmo al Brembo è ancora immersa nel silenzio notturno. Per un attimo, in un lampo di lucidità, pensiamo alla meraviglia chiamata letto… Ma ruote artigliate e zaini in spalla ci restituiscono subito l’entusiasmo. Per evitare di essere “spinti” in salita da qualche automobilista impavido, accendiamo le nostre X-Lite lampeggianti. Immediatamente ci investono profumi e suoni di bosco. Non scambiamo una parola: la rotta è il Passo San Marco.

Davanti a noi quindici chilometri di ascesa, una salita che ha l’antipatica abitudine di farsi sentire di colpo, riscuotendo il pedaggio in gambe pesanti e fiato corto – almeno a me capita sempre così. Superiamo il bivio per Piazzatorre; lì Sandro mi stacca, lasciandomi nelle retrovie.

Attraverso Mezzoldo all’alba, accompagnato soltanto dalle mie sensazioni. Le prime, rarissime auto mi sorpassano. Quando raggiungo la diga del Ponte dell’Acqua è ormai giorno pieno (cinquecento metri prima, a sinistra, una sorgente). La strada spiana un poco, poi, oltre il rifugio Madonna delle Nevi, riprende a impennarsi (altra sorgente in località Castello). Mancano circa cinque chilometri al valico. Quando arrivo al Passo sono piuttosto provato. Sandro – per pudore non gli chiedo da quanto tempo mi stia aspettando – mi informa di essere in trattativa con una signora. Al mio sguardo perplesso mi rassicura: la signora vende quell’oro prezioso che da queste parti chiamano Bitto. Entriamo nella casera – sulla sinistra, appena oltre il Passo – e contiamo il denaro: abbastanza per infilare nello zaino una fetta generosa. La salutiamo riconoscenti.

Nonostante le nuvole scure che ci volteggiano sopra e il venticello pungente – tipico del luogo – la giornata è radiosa; ogni passo conquistato regala sempre un brivido di gioia. E ora… si scende. Un breve tratto di mulattiera, l’antica Priula, parte a sinistra dell’Omino e conduce al rifugio Ca’ San Marco. Per non pensarci oltre sacrifico subito la mia camera d’aria, “pizzicata” dall’entusiasmo con cui ho centrato uno dei molti canaletti-rasoio che solcano il sentiero. Affronto gli ultimi metri a piedi, sotto lo sguardo di rimprovero di Sandro che, previdente, aveva evitato l’ostacolo.

Al rifugio il denaro rimasto basta per pane e vino, perfetti per accompagnare un assaggio del nostro tesoro. Dopo la “colazione” c’è tempo per guardarsi intorno e far evaporare i tenui fumi dell’alcol: affacciati al bordo del parcheggio la vediamo, la diga di Valmora, proprio sotto di noi. Fra i molti modi per raggiungerla scegliamo il più ripido. Seguiamo la stradina asfaltata che collega il rifugio alla carrozzabile principale e svoltiamo subito a destra sul sentiero segnato. Da lì pieghiamo ancora a destra, tagliando la pista sterrata che porta alla diga. Nulla vieta, escludendo le buche nascoste (eh, eh), di scendere dritti per il pascolo. Costeggiamo il lago di Valmora e, giunti alla diga, affrontiamo una serie di gradini che immettono in una galleria, la quale sbuca davanti alla casa del guardiano.

Oltre lo spiazzo antistante la casa inizia il sentiero vero e proprio, meta odierna del nostro desiderio. Si può dividere in due sezioni: la prima ha un fondo smosso, “a biscia”, con tornantini stretti e passaggi che richiedono attenzione – è sempre buona norma sapere cosa ci attende prima di spiccare il volo senza capirne il motivo (cit. Bruno Zanchi). Degno di nota è un “problema” che si presenta poco dopo…