
All’alba del 13 luglio 1914 Simone Pianetti, mugnaio di Camerata Cornello tormentato da rovesci economici e rancori personali, uscì armato di fucile e uccise sette persone che riteneva responsabili delle proprie disgrazie.
Caddero il parroco Don Camillo Filippi, il medico Domenico Morali, il segretario comunale Abramo Giudici con la figlia Valeria, il messo Giovanni Giupponi, il calzolaio Giovanni Ghilardi e la contadina Caterina Milesi (“Nella”). Il sindaco si salvò per caso. Dopo la strage Pianetti si rifugiò sul Monte Cancervo, aiutato da pastori che lo consideravano un “giustiziere”; sui muri comparve la scritta «W Pianetti».
Alto, biondo e collerico, da giovane aveva perfino sparato al padre. Emigrò negli USA, combinò guai e tornò con l’aiuto della famiglia. Sposò Carlotta, ebbe nove figli e aprì una trattoria con sala da ballo, subito osteggiata da parroco e autorità per “immoralità”. Le sue idee anticlericali e filoanarchiche peggiorarono la situazione. La licenza fu revocata e, dopo un fallimento come mugnaio elettrico, si ritrovò pieno di debiti, convinto di essere perseguitato.
A 56 anni compilò una lista di quaranta nemici. Il 13 luglio colpì prima il dottor Morali, poi cercò invano il sindaco, uccise il segretario e ferì mortalmente la figlia, abbatté il calzolaio, quindi il parroco e il sacrista. Infine salì in quota e sparò a Caterina Milesi nella sua casa: sette morti in poche ore.


Ogni vittima incarnava un torto subìto: il medico per la cura di un figlio, il segretario per la chiusura della balera, Valeria per le cartoline ingiuriose, il calzolaio e il sacrista per vecchi dissidi, il parroco per la “guerra” al ballo, la Milesi per un debito negato. Con la carneficina “pareggiò i conti” e si dileguò verso i pascoli alti.
Scattarono campane a morto, giornalisti, sessanta carabinieri e poi un’intera compagnia di fanteria perlustrarono l’Alta Val Brembana. Funerali affollati e polemiche tra cattolici e anticlericali accesero la stampa. Malgrado la taglia di 5 000 lire, Pianetti restò imprendibile grazie alla solidarietà – o alla paura – dei mandriani.
Durante la latitanza arrivarono e partirono lettere. L’on. Bortolo Belotti scrisse alla moglie di Pianetti invitandolo a costituirsi; la donna, con i figli, implorò il marito di arrendersi. Il fuorilegge rispose commosso ma deciso a non farsi prendere: «Non farò più male a nessuno, ma quel che è fatto è fatto». A Belotti chiese aiuto, ricevendo un ultimo appello a consegnarsi. Non lo fece mai, rafforzando il mito del bandito intoccabile.
Settimane di battute a vuoto lasciarono la valle in stato d’assedio; venti “bersagli” sopravvissuti furono scortati giorno e notte. Con il tempo le ricerche si allentarono e la sua figura entrò nella leggenda: c’è chi lo disse morto in un dirupo, chi fuggito a Milano o in America. Nessuna certezza sul suo destino.
