
Bortolo Belotti (1877‑1944) è considerato il personaggio più rappresentativo della Valle Brembana del Novecento. La sua fama nasce soprattutto dalla monumentale Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, ancora oggi il testo di riferimento sulla provincia, ma la sua attività andò ben oltre la storiografia.
Nato a Zogno in una famiglia borghese liberale, studia al Sant’Alessandro di Bergamo e si laurea in Giurisprudenza a Pavia (Collegio Ghislieri). Avvocato a Milano, entra nel Partito Liberale: consigliere comunale a Zogno (1907) e Milano (1909), deputato dal 1913. Da parlamentare si batte per lo sviluppo industriale della valle, l’estensione della ferrovia e lo sfruttamento idroelettrico; nel 1921‑22 è ministro dell’Industria e Commercio (gabinetto Bonomi).


Liberale di corrente conservatrice, inizialmente vede nel fascismo “il male minore” capace di ristabilire l’ordine. Dopo la marcia su Roma sostiene un’alleanza tattica, ma intuisce presto la deriva autoritaria: nel 1924 si ritira dal Parlamento e denuncia il regime in un vibrante discorso al congresso liberale di Livorno.
Tornato all’avvocatura, intensifica la produzione storica e poetica: biografia di Colleoni (1923), studi sul Cinquecento bergamasco, articoli giuridici sul diritto di famiglia ed economia. Arrestato nel 1930 per un progetto editoriale antifascista, è confinato un anno a Cava de’ Tirreni. Nel 1940 pubblica la sua opera capitale, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, apprezzata per l’ampia visione sociale, economica e culturale.


Dopo Storia di Zogno (1942) e il crollo del regime, si rifugia tra sacerdoti amici; il 2 novembre 1943 espatria clandestinamente in Svizzera, dove muore il 24 luglio 1944. Poeta, storico, giurista e politico, Belotti incarnò l’impegno civile contro la dittatura e lasciò un’eredità che oltrepassa l’ambito locale, facendone uno dei protagonisti più autorevoli dell’Italia del suo tempo.