La storia di Arlecchino
L'uomo ed il suo territorio

L'opera dell'uomo si è esplicata in un continuo lavoro che riscontriamo nelle manifestazioni esterne, borghi antichi, rurali, opere di architettura rustica, artigianato costituiscono l'espressione della cultura e della civiltà di un popolo. Le genti della montagna Brembana, abitanti in posizione geografica lontana
dalle principali vie di comunicazione, svilupparono in molti casi proprie tradizioni ed una propria Cultura. Prendiamo ad esempio l'abitato di Miragolo, situato nella bassa Valle all'altezza di Zogno. Per molti secoli e sino all'inizio del 900' gli artigiani di questo paesino fabbricavano orologi campanari e pendoli per moltissime Chiese Lombarde. La Famiglia Baschenis di Averara, per due secoli vagabondò per le Valli Trentine tramandandovi l'arte di "frescante" da padre in figlio e decorarono decine di Chiesette. Le loro composizioni tardo Giottesche servono ancora oggi ad allietare gli occhi del Turista distratto o a farlo meditare sulla caducità delle umane come con la famosa "danza Macabra" di Simone Baschenis a Pinzolo in Val Rendena.

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I "Ciodaroi" di Ornica erano noti in tutti i mercati dell'Alta Italia .oppure proviamo a percorrere a piedi la Val Taleggio verso le frazioni più isolate : qui ancora si capisce quanto l'isolamento geografico di queste valli abbia prodotto una cultura autonoma e integrata con l'ambiente . Ne sono testimonianza le caratteristiche costruzioni. Dai tetti ripidi coperti di lastre di pietra, od i loggiati lignei, le cosiddette "lobbie" rivolte a mezzogiorno per l'essicazione dei prodotti dei campi. Tradizioni millenarie stanno purtroppo scomparendo con il repentino mutamento delle condizioni di vita di questi ultimi anni .

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Nel già citato Museo della Valle di Zogno si possono ammirare arnesi di lavoro ed oggetti di vita quotidiana ormai scomparsi dall'uso comune ma una volta erano parte viva della durissima vita agricola, che si svolgeva nella Valle Brembana. La vita che si svolgeva nelle valli era una vita comunque dura, di lavoro dall'alba al tramonto, soggetta ai ritmi della natura con periodici periodi di carestia . A cavallo dell'inizio del secolo e sino ai giorni nostri le valli Brembane hanno alimentato emigrazione. Gli antenati dei Milanesi "Brembilla o Brambilla" erano sicuramente originari della Val Brembilla. I bergamaschi emigrarono in Francia come taglialegna, in Belgio e in Valle d'Aosta come minatori, in Svizzera come operai durante lo scavo dei trafori ferroviari e stradali.. Dovunque hanno raccolto manifestazioni di stima per la loro tradizionale operosità.
Oggi l'eredità culturale delle tradizionali attività agricole che cercano di rivalutare i tradizionali prodotti, per lo più caseari, delle Valli Brembane. Ne è testimonianza il rinnovato interesse per il cosiddetto "Formai de Mut" ossia formaggio di alpeggio degli alti pascoli brembani, o del formaggio Branzi, prodotto sui monti vicini all'anonima località o del vero Taleggio, che porta questo nome perché è tipico di questa Valle .

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Val Brembana una Valle di Emigranti

Quello dell'emigrazione è un fenomeno che attraversa tutta la storia della Valle Brembana. Di esso troviamo notizia fin nel Trecento, all'epoca della dominazione milanese dei Visconti. E il flussi dei emigranti continuò poi nei secoli successivi con le mete più disperate: Venezia, Genova, Milano, il Piemonte e dalla seconda metà dell'Ottocento, la Francia, la Svizzera e le Americhe.
Di questa storia di emigranti fanno parte nomi destinati a diventare famosi come quelli di Palma il Vecchio, del Codussi, dei Baschenis, dei Santacroce o delle compagnie dei Caravana e dei Bastagi. Ma accanto ad essi ecco poi migliaia di anonimi facchini, carbonai, boscaioli, minatori, fabbri, muratori e servette. Era del resto (ed è ancora purtroppo) quello dell'emigrazione un fenomeno fisiologico in tutte le vallate alpine come la nostra, povere di risorse.

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Un Gruppo di donne Brembane all'epoca in posa durante una pausa di lavoro

Ogni fazzoletto di terra, ogni anfratto veniva coltivato e sfruttato con straordinaria tenacia, così da ricavarne appena quanto bastava a soddisfare i bisogni essenziali. Tuttavia, era inevitabile che, periodicamente, il rapporto tra popolazione e risorse si squilibrasse oltre ogni limite sopportabile; ed ecco allora aprirsi la valvola di sfogo dell’emigrazione: il trasferimento verso terre lontane, dove fosse possibile guadagnare il necessario per integrare i miseri redditi della nostra povera economia e garantire così la sopravvivenza delle famiglie e della comunità.

Se questa era la motivazione principale, non si può tuttavia escludere che, per molti giovani, pesasse anche il desiderio di evadere dal nostro ristretto mondo, di conoscere nuovi orizzonti, genti e culture, di realizzarsi in modo più pieno. Un ruolo non trascurabile ebbe certamente anche lo spirito di imitazione. Tesi, queste, confermate dal fatto che non tutti gli emigranti versavano in stato di indigenza o di necessità: non pochi appartenevano, infatti, a famiglie agiate e comunque in grado di assicurare loro una vita tranquilla.

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Era dunque la nostra fino al Novecento e oltre, a parte quella transoceanica, un'emigrazione quasi sempre di tipo temporaneo o stagionale. Generalmente si partiva tra Febbraio e Aprile e si tornava tra Ottobre e Dicembre, all'arrivo della brutta stagione, quando il freddo e la neve impedivano di lavorare nei boschi, dov'era impegnata la grande maggioranza dei nostri emigranti. Una memoria della depurazione provinciale di Bergamo inviata al Ministro dei lavori pubblici l' 8 Marzo 1900 in merito alla questione delle derivazioni delle acque del Fiume Brembo riporta i seguenti dati:
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Piazza Brembana: Popolazione: 14.336 - Emigranti: 3.040
Zogno: Popolazione: 30.859 - Emigranti: 4.338
Totale Valle Brembana: Popolazione: 44.859 - Emigranti: 7.358
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Nella stessa memoria si dice che nel corso del 1899 i sindaci della Val Brembana avevano rilasciato oltre diecimila certificati agli altrettanti richiedenti che ne abbisognavano per trasferirsi altrove. E si aggiunge che in alcuni casi, a Foppolo, Mezzoldo, Olmo al Brembo, Taleggio, Moio dè Calvi, Cassiglio, sarebbe emigrato più di un terzo e persino oltre la metà della popolazione; dunque in pratica l'intera comunità adulta di sesso maschile e anche parecchie donne. E questo perché non vi erano più risorse bastevoli alla sussistenza. Se è vero che l'emigrazione aveva sempre costituito per la Val Brembana una valvola di sfogo per l'eccesso di forza lavoro è però proprio in questo periodo che ha inizio quell'esodo vero e proprio che porterà nel corso dei decenni successivi allo spopolamento della nostra montagna.

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